Ariccia: Alessio De Marchis e la pittura di paesaggio del ‘700, dipinti dalla collezione Aldo Poggi
Ariccia, Palazzo Chigi, 24 marzo – 30 giugno 2019, ore 10.30 – 13,00 / 15,00 - 19,00
Mostra a cura di Francesco Petrucci, con la collaborazione di Giancarlo Sestieri
La mostra è il primo di una serie di eventi che celebrerà nel corso dell’anno il Trentennale di Palazzo Chigi, cioè i trent’anni trascorsi dal suo pubblico acquisto da parte del Comune di Ariccia.
La mostra, dedicata alla pittura romana di paesaggio, offre l’opportunità di indagare ulteriormente l’eccentrica personalità di Alessio De Marchis (Napoli 1675 – Perugia 1752), esponendo al pubblico un gruppo di oltre trenta opere inedite, oltre a dipinti dei suoi maestri e di paesaggisti suoi contemporanei, tra i quali Gaspard Dughet, Rosa da Tivoli, Andrea Locatelli, Frans van Bloemen, Paolo Anesi, attraverso la collezione di Aldo Poggi.
Alessio De Marchis detto “Alessio napoletano”, paesaggista puro con spiccati intenti decorativi, in conformità ad un rinnovato e crescente sentimento della natura sviluppato in seno all’Accademia dell’Arcadia, seppe volgere il panismo seicentesco di matrice dughetiana in chiave sentimentale e di misurata partecipazione interiore, secondo il principio oraziano ut pictura poësis. Sarebbe tuttavia riduttivo interpretare la sua produzione soltanto in chiave tradizionalmente arcadica. Infatti non mancano nell’eccentrico e stravagante artista accentuazioni pre-romantiche, che emergono soprattutto in dipinti aventi valore autonomo, non subordinati all’ambientazione di arredo delle dimore. Si avverte infatti in molte sue opere un coinvolgimento emotivo, un sentimento di commozione o sgomento di fronte ad eventi naturali e alla forza della natura, sempre filtrato attraverso la settecentesca moderazione di affetti, che preludono alla sensibilità romantica.
De Marchis fu un artista di mestiere e di spiccate doti tecniche, che seppe codificare una sua maniera individuale, fatta di brio e facilità di tocco, ottenendo il favore della piccola aristocrazia marchigiana e umbra, ma anche della grande nobiltà pontificia, se le sue opere erano presenti in alcune fra le più importanti collezioni del tempo. Sviluppa un pittoricismo materico e una sintesi espressiva di carattere impressionistico, spesso su tonalità calde e rosate, che anticipa Francesco Guardi e talora la pittura del secolo successivo, con accentuazioni preromantiche; alterna sereni contesti paesistici di stampo arcadico ad altri caratterizzati da una natura aspra e selvaggia, rosiana, con rocce a strapiombo, cascate, cieli corruschi, notturni lunari, incendi e persino eruzioni vulcaniche, in preludio a Pierre-Jacques Volaire, Jakob Philipp Kackert, ma anche ad alcune registrazioni luministico-atmosferiche di Ippolito Caffi. Tuttavia in De Marchis l’equilibrio tra uomo e natura non è turbato, ma permane un sentimento di superiore armonia. Rivisitata alla luce della nuova sensibilità arcadica la natura incontaminata è il locus amoenus, non frequentato più da ninfe e satiri, come nella pittura “noeveneziana” del Seicento, ma da pacifici pastori, mandriani, viandanti, pescatori, contadini e lavandaie.
Natura come libertà e illusione di un’esistenza pacifica e serena, che può suscitare piacere, ma anche agitazione e turbamento senza tuttavia sconvolgere lo spirito. Una dimensione pastorale e bucolica fittizia ed utopica, fuori dal tempo, finalizzata ad una piacevolezza rasserenante, ad una quiete perenne lontano dalle città e dalle preoccupazioni della vita civica. Il piacere del vivere in villa o di portare la campagna tra le mura dei palazzi di città, è l’aspirazione dei committenti del tempo, come il cardinale Annibale Albani, non a caso membro dell’Arcadia, che affidò al suo pupillo tale missione.
In questo contesto va collocata l’apparente contraddizione tra De Marchis pittore arcadico e protoromantico.